L’istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possono utilizzare per cambiare il mondo.
Nelson Mandela
Il nostro bus lascia Plettenbeg Bay per percorrere il breve tratto finale della Garden Route. In meno di 3 ore siamo a Port Elizabeth, detta PE, famosa località balneare che si affaccia su Algoa Bay, nota anche con il nome Windy City, perché sempre battuta da forti raffiche di vento.
A Central e North End, quartieri malfamati pericolosi soprattutto di sera (anche se dai mondiali di calcio il centro è diventato più accessibile), preferiamo i sobborghi più tranquilli tra Humewood e Summerstrand, sul mare, dove si trovano i locali e i centri commerciali più rinomati, tra cui Boardwalk e Dolphin’s Leap. Con un po’ di fortuna troviamo l’ultima stanza libera al Lungile Backpackers (R380 camera doppia con bagno) ostello molto frequentato dai viaggiatori zaino in spalla e a pochi minuti a piedi dal lungomare di una delle più belle spiagge della città, Kings Beach.
PE è la sede della Municipalità che Mandela ha scelto per portare il suo nome (Nelson Mandela Bay) ed è stata la prima città ad avere un sindaco nero. Qui ci sono diverse township che hanno svolto un ruolo fondamentale durante la lotta anti apartheid. Visitiamo New Brighton, tra le più antiche di PE (1902), Kwazakhele e Zwede (R350 a persona) insieme a Jeffrey, la nostra guida, che è nato proprio qui. Le township non sono solo grandi aree di degrado, con malsane e malandate catapecchie in ferro e rifiuti in strada, ma anche quartieri di case in muratura con luce e acqua corrente, supermercati, scuole. Il governo consegna nuovi alloggi, essenziali ma dignitosi, agli abitanti delle baracche in lista d’attesa, sempre troppo lunga purtroppo per la miseria che dilaga nel paese, dove un quarto della popolazione non ha lavoro e un quinto è afflitto dall’Aids. Una sufficiente quantità d’acqua viene data gratuitamente agli abitanti per invogliarli a coltivare il piccolo pezzo di terra adiacente alla nuova casa, spazio che spesso viene invece “affittato” ad altri poveri senza dimora che vi costruiscono la loro baracca fatiscente, rovente d’estate e gelida d’inverno. La strada da percorrere è ancora lunga e difficile, ma le township stanno già cambiando in modo radicale.
Camminiamo indisturbati tra gli abitanti e, a parte un nero che passando in auto ci urla contro frasi incomprensibili che Jeffrey preferisce non tradurre, sono tutti cordiali e i bimbi ci sorridono e giocano seguendo i nostri passi. Le vie brulicano di gente indaffarata, chiassosa, allegra; tutti conoscono e salutano la nostra guida, l’atmosfera è così diversa rispetto ai quartieri immacolati e tranquilli dove vivono i bianchi e i cosiddetti “coconuts” la media borghesia nera sempre più numerosa. Le donne con l’abito della festa, cappellino e ombrello sotto il braccio escono dopo aver assistito alla funzione nella “Chiesa indipendente” preferita (diverse chiese con un mix di religione cristiana e tradizionale africana).
E’ venuto il momento di entrare in un shebeen, alternativa ai bar e pub un tempo vietati ai neri, originariamente illegali. Vendevano birra fatta in casa ed erano luogo d’incontro clandestino per discutere questioni sociali e politiche. Oggi sono legalmente gestite e molto frequentate soprattutto dagli uomini. Metto in tasca l’apparecchio fotografico ed entriamo cercando di abituare gli occhi al buio del locale, molto fresco rispetto alla calura dell’esterno. Sentiamo gli occhi di tutti puntati addosso, ma la loro sorpresa e il nostro imbarazzo durano solo un attimo per lasciare il posto ad una calorosa accoglienza: ci fanno posto, ci stringono la mano e allegramente cominciano a fotografarci con i cellulari, in diversi hanno alzato di parecchio il gomito. Divertita tiro fuori anch’io la mia macchina fotografica mentre un paio di uomini improvvisano un ballo al ritmo di I got you babe, contenti di farsi riprendere. La visita alle township è un’esperienza istruttiva più di tante letture e la spontanea accoglienza molto toccante.
L’indomani splende ancora il sole, la giornata sembra ideale per un po’ di mare. Mentre aspettiamo la colazione al Flaming Arrow Spur Steakhouse (500 mt dalla nostra Guesthouse) ci rilassiamo alla vista delle palme piegate dal vento e delle cameriere che improvvisano cantando un originale balletto tra i tavoli, consuetudine del locale. Raggiungiamo la spiaggia, ma la sabbia spostata dal vento è troppo fastidiosa e optiamo per la lunga passeggiata lungomare, passando dalle spiagge quasi deserte di Humewood, Kings e Hobie, con una sosta a Shark Rock Pier che offre una bella vista sulla baia di PE. Passiamo poi al via vai di gente nei centri sul mare di Bayworld, con l’oceanario e il rettilario, e Boardwalk che con la sua atmosfera e il casinò ricorda un po’ Disneyland.
La sera ritroviamo lungo la costa tra le numerose catene di Steakhouse e Fast food così amate dai sudafricani, il ristorante Ocean Basket e pur conoscendone a memoria il menù (la catena è presente in quasi tutte le città) non ci facciamo scappare l’occasione per un’altra abbuffata di pesce accompagnata dalle immancabili patatine fritte. Il nostro itinerario in autobus termina qui, un volo ci porterà nella grande città di Johannesburg per proseguire il nostro viaggio in Sud Africa.
Il viaggio continua… A breve Johannesburg ➔