Benin, dalla frenesia di Cotonou alla Porta del Non Ritorno

Cotonou, Benin
© kaysha

Il nostro viaggio in Benin prosegue in una delle città più caotiche e trafficate del West Africa, si tratta di Cotonou. Il nome ha un significato davvero inquietante, ovvero “bocca del fiume della morte” ed allude al ruolo che storicamente la zona ha avuto nell’esportazione degli schiavi.

Arriviamo da Abomey in taxi-brouss (100km circa) e ad accoglierci troviamo un sciame di zémigiàn, i taxi-motorino che sfrecciano per le strade dell’inquinatissima città. In un batter d’occhio siamo nel traffico, in mezzo al delirio dei gas di scarico fino a reggiungere un piccolo e mediocre hotel di cui ci accontentiamo, l’Hotel le Crillon, in centro. La città non offre grandi attrazioni ed è anche poco sicura (ogni tanto si sente di qualche aggressione, soprattutto nei pressi del lungomare), ma è tappa quasi obbligata di un tour del Benin, perché in posizione strategica per raggiungere alcune località di mare degne di nota.

Già che ci siamo visitiamo il grande mercato di Dantokpa, dove si vende di tutto, un’esperienza divertente considerata la quantità impressionante di feticci: teste di animali, zampe, testicoli di scimmia, strane statuette chiodate… Senza contare che a stabilire il prezzo sono gli spiriti, che avrete l’onore di interrogare tramite il fetichior (ah, ricordate che è concesso trattare persino con loro…). Un regalino da portare a casa? Il feticcio dell’amore ovviamente: sfregatelo tra le mani, dite sette volte il nome dell’amato/a, toccate la persona in questione e il gioco è fatto!

Ganvié, BeninIl giorno successivo ci spingiamo qualche km a nord e in 25 minuti raggiungiamo l’altra sponda del lago Nokoué, limitrofo alla stessa Cotonou, e il villaggio su palafitte di Ganvié. Noleggiamo una piroga e ci muoviamo tra le case e la gente. Ganvié è la città lacustre più grande dell’Africa e l’atmosfera è suggestiva anche se non delle più cordiali. Essendo un punto di notevole passaggio turistico, gli abitanti sono abituati ad avere gente curiosa che gironzola tra le case e non sembrano gradirlo più di tanto (almeno questa è stata la nostra esperienza), né gradiscono di essere fotografati senza compenso. Meglio navigare lungo le sponde e raggiungere altri villaggetti meno battuti. La caretteristica di Ganvié è che si tratta di una vera e propria cittadina tutta su palafitte, le abitazioni sono in legno (ma stanno iniziando a costruire con materiali più resistenti) e si reggono su pali di bambù profondi due metri. Gli abitanti vivono di pesca e si muovo a loro volta su piroghe.

Tratta degli schiavi, BeninIl giorno dopo lasciamo Cotonou e raggiungiamo Ouidah, lungo la strada che ci porterà alla nostra prossima meta, Grand Popo. Ad Ouidah vale la pensa fermarsi, si può fare una gitarella alla foresta sacra, visitare il tempio del pitone e soprattutto ripercorrere la strada degli schiavi, la stessa che fu protagonista della drammatica storia del commercio degli schiavi. Si va a piedi, lasciato alle spalle il Forte Portoghese, si percorre il tragitto fino a raggiungere il mare, dove venivano imbarcati. Qui c’è un monumento in memoria, la Porta del Non Ritorno, nel mezzo di una bellissima e ampia spiaggia isolata, un luogo sospeso nel tempo e nel silenzio.

Il viaggio continua… Con un po’ di mare a Grand Popo ➔

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