Tappe: n° 16 Orio Litta-Piacenza 18 km (circa 5 ore) | n° 17 Piacenza- Fiorenzuola d’Arda 31,7 km (7,5 ore – primo tratto in autobus)
Tempo impiegato: due giorni
Il paese di Orio Litta ancora sonnecchia quando ci avviciniamo al Bar Sport per la colazione. Mentre ci gustiamo un cappuccino e un cornetto ci godiamo la lentezza dei gesti, il rumore del quotidiano che passa di mano in mano, le occhiate solidali o perplesse di chi indugia con lo sguardo sui nostri zaini. La Via Francigena è sentita e vissuta con un’ospitalità discreta ma partecipe in questo piccolo borgo, che lasciamo per riprendere la strada dirette verso il guado del Po.
Ci mettiamo in marcia verso le 7.30, l’appuntamento all’imbarcadero è per le 8.30-9.00. Passiamo un’ultima volta davanti a Villa Litta e proseguiamo in direzione Cascina Cantarana: un’insegna in metallo ci rammenta che questo è territorio della Frisona Italiana. Continuiamo verso Frazione Corte Sant’Andrea per raggiungere il Guado di Sigerico. Il Po è davanti a noi sotto un cielo nuvoloso e carico di umidità. Ci ritroviamo con Alessandro e Frederick: una foto di gruppo, due chiacchiere, la cicciabici sul piccolo molo in attesa dell’arrivo della barca.

Il motore del taxi fluviale si avvicina ed ecco approdare Danilo Parisi, il traghettatore. Il motoscafo fortunatamente è capiente e la fat-bici di Alessandro trova un alloggiamento. Possiamo partire: l’aria densa, il vento in faccia, le greggi sulle sponde ci invitano al silenzio. Poi la facciata rude del pilota si dilegua, incalzato dalle nostre domande. La traversata dura circa quindici minuti. Arrivati sull’altra sponda del Po, in località Sopravivo, paghiamo pecunia (10,00 € a persona – 15,00 € con bici). Poi ci si svela un mondo intero, quello di Danilo: la riscoperta della Via Francigena, la prima traghettata nel 1998, la sua meravigliosa casa immersa nel verde dove ci accoglie insieme ai suoi gatti per timbrare le credenziali.
Danilo è un personaggio davvero unico: il suo Liber Peregrinorum, dove ogni pellegrino lascia i suoi dati, è di fattura mirabile e tutt’altro che di modeste dimensioni. Gareggia soltanto con il timbro, che straborda dallo spazio sulla credenziale. Non poteva essere altrimenti: qui tutto ha carattere sotto l’influenza di Parisi, che ci intorta per bene con i suoi racconti, i suoi ricordi, le sue mappe – Frederick è un cartografo e cade dolcemente nella sua tela. L’idioma è relativo: un italiano infarcito di mezze frasi in francese e qualche parola in inglese. Potrebbe continuare per ore e finire a briscola, ma sono passate le 10 ed è tempo di mettersi in marcia verso Piacenza.

Salutiamo chi ha condiviso un po’ di cammino con noi, seguiamo l’argine del Po e ci lasciamo la campagna alle spalle fino ad arrivare alla provinciale che ci porta a Calendasco prima, dove facciamo una mini-sosta all’alimentari di Via Roma, e Cotrebbia poi. Qui ci riforniamo d’acqua e sulla strada Malpaga ammiriamo il particolare campanile neogotico della chiesa. A pianta circolare e forato sui lati da monofore merita una sosta per la sua imponenza.
Puntiamo verso Ponte Trebbia e attraversiamo il fiume raggiungendo l’ingresso del ponte ben segnalato. Siamo sulla Via Emilia e seguiamo la ciclabile che ci porta alle porte di Piacenza dal lato ovest. Gli ultimi chilometri purtroppo li abbiamo percorsi sull’asfalto, non sempre si possono evitare le strade trafficate e meno allettanti: nel Medioevo era comunque tutt’altro affare, quindi non ci lamentiamo. Si son fatte le 12.30, ci sistemiamo in un giardinetto pubblico e consumiamo il pranzo.
Raggiungiamo la Basilica della Madonna di Campagna, splendido monumento romano-gotico, vicino cui si trova il nostro rifugio per la notte, il Convento Santa Maria di Campagna. La lezione del pisolino pomeridiano del parroco non l’abbiamo ancora fatta nostra, per cui facciamo un po’ di anticamera prima di sistemarci in una delle stanze attorno al chiostro del convento. Dopo la solita routine, più una creativa stesura del filo per stendere i panni, siamo pronte per goderci il resto della giornata a Piacenza.

Il cammino si trasforma, ora è una pigra passeggiata a zonzo per il centro città. Raggiungiamo Piazza De Cavalli dove il Palazzo Gotico dà bella mostra di sé, insieme al prospetto dell’antica Basilica di San Francesco. Nonostante un po’ di stanchezza vogliamo goderci la città e le sue ricchezze: ci spingiamo così fino a Palazzo Farnese – dove ha sede una delle due sedi dell’Associazione Europea delle Vie Francigene, per poi ridiscendere in Piazza del Duomo. Qua e là qualche mostra attira la nostra attenzione, così come vecchie botteghe e caffè storici. Piacenza è una città da visitare seriamente, è ricca di tesori, oltre che di prelibatezze.
Per questo motivo scegliamo l’Osteria d’una volta (Via San Giovanni 36) per la cena, dove dopo un piccolo entrée con giardiniera e insalata russa fatte in casa, ci gratifichiamo con i tipici pisarei e fasö (gnocchetti di farina e pane con sugo a base di fagioli), un piccolo tagliere di coppa e salame e un bicchiere di Gutturnio. La mia socia salta gli insaccati e si fa tentare da un meno tipico ma soddisfacente bonèt. È ancora presto, sono le 20.30 circa. La titolare è simpatica e accogliente, ci presenta i suoi barboncini, ci ripromettiamo di tenerci in contatto.
Alle nove di sera c’è ancora luce e un ultimo giretto per Piacenza prima di andare in branda non possiamo perdercelo: i contorni dei monumenti diventano più sfumati, la temperatura è insolitamente più fresca. Anche oggi abbiamo superato venti chilometri a piedi, siamo soddisfatte e ripercorriamo vari momenti della giornata. Alessandro con la sua fat-bike sarà già sulla via di Fidenza, ma Frederick che incrociamo ormai qua e là in un campo o una piazza, non si è più visto. Eppure è un cartografo. Impossibile per lui perdersi. Starà tracciando un cammino tutto suo?
Una riflessione più pragmatica esce dalla pianificazione di Giorgia: domani ci berremo parecchi chilometri sull’asfalto, su un tragitto lungo 34 chilometri, così in scioltezza per più di otto ore sotto un sole micidiale? I nostri tendini potrebbero aversene a male, dunque fino a Pontenure prenderemo l’autobus tagliando così qualche chilometro.

Tappa Piacenza – Fiorenzuola d’Arda
Alle 7.20, dopo un succo e una brioche, siamo già in Piazzale Roma dove fiancheggiamo il monumento alla lupa capitolina, per raggiungere l’autostazione a poca distanza. Abbiamo consultato gli orari dei bus a Piacenza e quello delle 7.35 ci pare il nostro orario. Facciamo i biglietti al volo per Pontenure dove scendiamo 15 minuti dopo essere salite sul bus.
Usciamo dall’abitato e ci ritroviamo presto in campagna, dopo un’oretta arriviamo a Cadeo. Attraversiamo il torrente Chiavenna e proseguiamo sull’asfalto liscio e stretto che divide appezzamenti dorati da terreni verde smeraldo. Oltrepassiamo il torrente Chero e attraversiamo boschi arrivando a Carpaneto Piacentino. Qui, complici alberi carichi di amarene facciamo merenda con la soddisfazione che nasce solo quando si mangiano i frutti appena colti dai rami. Le spighe continuano a regalarci una vista confortante e cerchiamo di non spaventare i coniglietti che sbucano sul ciglio della strada.
Una strada sterrata tra i campi ci porta ad attraversare nuovamente il Chiavenna, nel tratto parallelo alla Statale 9 per Fontanafredda. Dai massi posizionati per l’attraversamento, immaginiamo quanto possa essere la sua portata, al momento l’acqua ci arriverebbe più o meno un palmo sopra le ginocchia. Grazie alle rocce non dobbiamo bagnarci, fortuna che non hanno un paio di ciclisti di passaggio. Potrebbe essere una benedizione, in realtà, visto il caldo e l’umidità che iniziano a farsi sentire prepotentemente.

Proseguiamo accompagnate da vecchi ruderi alla nostra sinistra, dall’opera dei contadini nei campi, dal latrare dei cani nelle cascine. Uno sembra particolarmente ligio al suo ruolo di protettore dell’aia e superata la staccionata e il piccolo fosso ci viene incontro. Dopo le annusate di rito, il segugio inizia a camminare davanti a noi. Si allontana di una ventina di metri e si volta a guardarci sistematicamente ad assicurarsi la nostra presenza: questo cane si è appena offerto come nostra guida sulla Via Francigena.
Iniziamo ad allontanarci e l’adorabile canide continua ad affiancarci: siamo parecchio lontane ormai dal punto in cui ci ha adottate e non pare avere intenzione di rientrare. La strada è battuta da grossi trattori e iniziamo a temere che il girovago stia iniziando a far preoccupare qualcuno. Fermiamo un uomo sul trattore che riconosce il cane e chiama tramite cellulare le padrone di Toby. La scena è un po’ surreale, ne approfittiamo per sostare all’ombra di una casa diroccata mentre il cane si fa coccolare in attesa di essere recuperato. “Ogni tanto fa così, prende e va. Poi ci dicono dov’è e noi andiamo a recuperarlo” ci informano le due donne mentre ci ringraziano per non essercelo portato fino a Fiorenzuola. Salutiamo questa speciale compagnia che ci ha alleggerito questo tratto parecchio assolato e allunghiamo il passo verso la meta. Purtroppo l’ultimo tratto di Via Emilia ci tocca, ma dopo una mezzora dal cartello del comune di Fiorenzuola d’Arda siamo arrivate in città.

Arrivate in Piazza Molinari, ci beiamo della Collegiata dedicata al patrono Fiorenzo e a pochi passi della torre campanaria. Mentre aspettiamo qualcuno della pro-loco che ci accolga nella parrocchia di San Fiorenzo, iniziamo a far conoscenza con una coppia di canadesi, che intuiamo camminatori più esperti. Rifocillate e tornate a nuova vita dopo aver ricevuto ospitalità nell’oratorio della parrocchia, diamo una mano ai canadesi che non riescono a contattare le foresterie delle prossime tappe.
Louise e René sono sulla sessantina e hanno gambe allenate, hanno pianificato bene le loro tappe, ma non avendo ricevuto risposta via email, cercano via telefono di confermare un paio di letti dopo l’attraversamento del Passo della Cisa. In mezzora sistemiamo un po di prenotazioni con grande sollievo dei canadesi con cui decidiamo di uscire per scoprire cosa offre questa cittadina. Prima però fotografiamo un’interessantissima pianta con tre differenti percorsi della Via Francigena per la tappa seguente: quella che taglia per Saliceto non c’è sulla nostra cartina e potrebbe tornarci utile.
Piazza Molinari è splendida per bere qualcosa insieme prima di cena. Nel placido tardo pomeriggio di Fiorenzuola la birra offertaci da Louise e René accompagna una piacevole condivisione di aneddoti e di vissuto. Le rondini creano vortici di suoni e d’ali, mentre rasentano il campanile e la sommità della collegiata.
Fiorenzuola è una bella cittadina che rivela le sue antiche origini tra le vie del centro. Non abbiamo molto tempo per visitarla più a fondo, ma scegliamo la Locanda San Fiorenzo come riferimento culinario che propone anche un Menù del Pellegrino. I tavoli all’esterno sono posizionati in modo estroso in mezzo alla strada pedonale. Mangiamo bene e ascoltiamo altri racconti di questi due infaticabili camminatori. Verso le 22.30 raggiungiamo le nostre stanze e ci abbandoniamo a Morfeo: domani l’Abbazia di Chiaravalle ci prenderà un po’ di tempo per la visita, visto che è tempo d’infiorata.
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